La donna dal cappotto verde by Edith Bruck

La donna dal cappotto verde by Edith Bruck

autore:Edith Bruck
La lingua: ita
Format: epub
editore: Garzanti
pubblicato: 2012-01-18T16:00:00+00:00


All’apparire di sua nipote Deborah, quasi la figlia che non ha, abbassa gli occhi come chi si vergogna di essere malata, di aver bisogno di lei, madre di tre figli seguiti con amorosa dedizione, ora materna anche con Lea che a sua volta le è un po’ madre in assenza della sua e, mentre le mostra ogni cosa che le ha portato, la scruta ed elenca automaticamente le sue domande senza aspettare le risposte: «Come stai? Come hai passato la notte? Cosa hanno detto i medici? Cosa senti? Come va il linguaggio?».

Lea con il balbettio migliorato parla delle formiche notturne, della padella.

«E loro, loro?» le chiede, alludendo alla coppia, nella loro lingua materna che Lea parla bene pur non vivendo nel paese natio da oltre sessant’anni e che Deborah, invece, conosce poco, da sempre ostile a quella lingua in cui la madre con la famiglia è stata cacciata, deportata, distrutta.

«Sono fidanzati», formula a fatica la frase Lea e finalmente il bel viso della nipote, che tende a oscurarsi, si illumina e con un sorriso felice la rassicura che, a parte qualche inciampo, connette molto meglio le parole, le frasi.

«Tra poco viene il tuo Nano», l’avvisa pur essendo refrattaria alla lingua materna. Sono le lingue, innocenti, a rimetterci quando sono usate per offendere, bestemmiare, gridare l’odio, uccidere. Quasi con più errori e fatica di Lea, le chiede perché quei due stanno lì a letto a toccarsi, a baciarsi in ospedale!

«Lei è svenuta, diabete grave. Il padre spaventato ha avuto un infarto. Lei esce. Lui è ricoverato. Tutto è assurdo. Capisci? Ma sono belli, hanno sguardi puliti, gesti pudichi. Forse è la loro reazione al male, la migliore medicina è l’amore, no?»

Per spiegare tutto ciò, Lea ha bisogno di molto tempo e di tutte le sue forze ma è felice di potersi esprimere e continua nella propria lingua materna: «La loro presenza mi riempie di una tenerezza così fragile da disfarmi il cuore ancora di più», si commuove, vulnerabile com’è. «Ecco... guarda come è bella lei. Si rialza, sorride, sorride a noi. Lui ha mani grandi, tese in un gesto protettivo, paterno. Peccato che se ne vanno. Ci salutano! Saluta anche tu. Adesso che non ci sono più mi sembra di aver avuto una visione, un sogno. Tutto mi sfugge subito o mi sembra lontano. Non mi resta niente nella testa. Non ho neanche una memoria momentanea. Gli occhi, solo gli occhi ricordano qualcosa. Cosa mi sta succedendo?»

«Adesso parla pure italiano. Non ho capito bene quello che hai detto, ma non importa. Ti hanno dato qualcosa da mangiare? Hai fame?»

«No.»

Dietro un carrello con gli strumenti per l’elettrocardiogramma avanza la figura bianca della suora dal volto serio e inespressivo. Lea la saluta con gioia come se spingesse un minigiardino di fiori e la sua salute, Deborah le getta un’occhiata antipatica e si scosta dal letto della zia per farle spazio.

«Allora gliel’hai chiesto?» La donnina nella veste fuori misura si rivolge proprio a lei.

«Ah sì, la suora vuole sapere se sei un’emigrante regolare e



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